Presentazione
La diga del Vajont è una diga in disuso progettata dall’ingegnere Carlo Semenza e costruita negli anni tra il 1957 e il 1960 nel territorio del comune di Erto e Casso (PN), nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, lungo il corso del torrente Vajont, nota particolarmente per il disastro che vi è avvenuto.
Di tipo a doppio arco, lo sbarramento è di 261,60 m (la quinta diga più alta del mondo, la terza ad arco) con un volume di 360.000 m³ e con un bacino di 168,715 milioni di metri cubi. All’epoca della sua costruzione era la diga più alta al mondo.
Lo scopo della diga era di fungere da serbatoio di regolazione stagionale per le acque del fiume Piave, del torrente Maè e del torrente Boite, che precedentemente andavano direttamente al bacino della Val Gallina, che alimentava la grande centrale di Soverzone.
Le acque sottratte al loro corso naturale vennero così incanalate dalla diga di Pieve di Cadore (Piave), da quella di Pontesei (Maè) e da quella di Valle di Cadore (Boite) al bacino del Vajont tramite chilometri di tubazioni in cemento armato vibrato e spettacolari ponti-tubo. A questo complesso si aggiunse successivamente la vecchia diga di Vodo di Cadore, che con la sua quota permise di alzare di 15 m la diga del Vajont, rispetto al progetto originario (Fonte: Wikipedia).
9 ottobre 1963
Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia). La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione. La stima più attendibile è, a tutt’oggi, di 1910 vittime.
Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l’aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l’aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l’allarme la sera del 9 ottobre per attivare l’evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione.
Fu aperta un’inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi.
Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti. La zona in cui si è verificato l’evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere.