La diga del Vajont si trova nella provincia di Pordenone nel Comune di Erto e Casso, in Friuli Venezia Giulia. Fu costruita negli anni ’50 del XX secolo con lo scopo di generare energia idroelettrica e di regolare il livello del lago artificiale formato dall’invaso. Il Vajont è diventato famoso nel 1963, quando una parte del monte Toc è crollata nella diga causando una delle più grandi catastrofi idrogeologiche della storia. L’ondata di acqua che si è formata ha travolto le frazioni di Longarone, Rivalta, Villanova e Faè, distruggendo tutto ciò che incontrava al suo passaggio e causando la morte di oltre 2.000 persone.

Il Vajont è ancora oggi un luogo di grande interesse storico e culturale, e il monte Toc, dove si è verificato il crollo, è stato dichiarato monumento nazionale. Ogni anno, molti turisti vengono a visitare il Vajont per conoscere la storia di questa tragica catastrofe e per ammirare la bellezza della regione del Friuli-Venezia Giulia.

Ogni tanto ci torniamo perché è un luogo simbolico e particolare che merita una visita. Sia per la strada che ti ci porta, si passa in un soffio dal mare alla montagna e in questa stagione ti puoi godere i primi spruzzi di neve, sia per la sua  storia che non va dimenticata e va tramandata e ricordata.
All’itinerario che racconto si può aggiungere, ma solo nei weekend e previa prenotazione, anche una visita di tre ore per entrare nel cuore della diga.

Noi siamo partiti da Fondo Gioconda dove soggiornavano coccolati dall’aperta campagna e dalla totale assenza di rumori, base strategica sia per visitare in giornata Venezia grazie alla stazione dei treni di Quarto D’Altino a 6 minuti di macchina e molto ben organizzata con ristoranti vicini e servizi di consegna a domicilio per quando si è troppo stanchi per uscire a cena.
Da qui in poco più di un’ora di macchina si arriverà direttamente a Longarone, la prima città colpita dall’esondazione della diga. Immaginando il passato di questi luoghi, la forte industrializzazione e cementificazione che ha subito questo luogo stonano molto con l’idea di ricostruzione che ci si immagina. Un paesino di mezza montagna che nel suo cuore ha la Parrocchia di Santa Maria Immacolata che è da sempre il punto di partenza per ripercorrere questo viaggio.

Parcheggiando in centro in due minuti si raggiunge la chiesa che ci da il primo scorcio sull’apertura di quelle due montagne e, per chi ha visto lo spettacolo di Paolini, un brivido immaginando quello che è successo qui a causa dell’avidità dell’uomo. Dalla piazzetta si accede poi alla Chiesa monumentale dove, nella parte sottostante del monumento è possibile trovare il museo “pietre vive” di Longarone.
Il Museo “Pietre Vive”
si trova ai piedi della Chiesa monumentale ed è una raccolta di resti di vita religiosa e della Chiesa Arcipretale precedente alla tragedia del Vajont. All’ingresso del museo c’è un memoriale che riporta i nomi delle vittime della catastrofe. Tra gli oggetti esposti nel museo ci sono le famose “Campane de Longaron” e una ricca documentazione fotografica che permette di rivivere la vita del vecchio paese prima della tragedia. Il Museo “Pietre Vive” è sempre aperto al pubblico.

Spostandosi poco più indietro verso l’entrata del paese è possibile anche visitare il museo “Longarone Vajont, Attimi di Storia”.

Il percorso museale, studiato seguendo la cronologia degli eventi, si snoda attraverso due scale che, collegate da un tunnel buio, simbolo della notte del Vajont, rappresentano il “prima” e il “dopo” del 9 ottobre 1963. Attraverso immagini, documenti, filmati e reperti, è ripercorsala storia di Longarone dagli inizi ad oggi. Il museo costituisce uno strumento di conoscenza della storia locale ed intende trasmettere al visitatore un’emozione forte ed una reale consapevolezza che il valore della vita e gli insegnamenti del passato sono fondamenti imprescendibili per costruire il futuro. Il percorso è sottolineato da un fondale che costituisce il filo che lega la narrazione con stringhe verticali che rappresentano numericamente le 1910 Vittime della tragedia del Vajont e che rimandano, nella forma ritorta, alla sofferenza patita dalle stesse e allo sconvolgimento fisico subito dalle cose, di cui i binari attorcigliati della ferrovia costituiscono l’emblema figurativo, A questi elementi si affiancano delle lamelle bianche che ricordano i bambini mai nati.

Dopo queste due tappe vi consigliamo di dirigervi proprio verso la diga. Un viaggio da percorrere lentamente godendosi il paesaggio e consapevoli del fatto che la piccola galleria a cavallo della diga è talmente stretta da permettere il passaggio in un solo senso alla volta. Armarsi di pazienza perché il semaforo dura 7 minuti e non ci si può fermare fino all’uscita. Fuori dalla galleria, un centinaio di metri più in alto rispetto alla diga, c’è un comodo parcheggio dove fermarsi per andare a visitare la Chiesa di Sant’Antonio da Padova al Colomber e la diga.

Fa stringere il cuore scendere verso la diga leggendo i nomi di tutti i bambini che sono stati portati via da questa tragedia, è uno dei tanti modi per ricordare l’entità di un disastro annunciato della cui grandezza ti rendi conto solo venendoci di persona. Perché la diga, enorme e maestosa, è rimasta lì dove l’avevano messa e se ti guardi attorno la vedi la montagna che non è più al suo posto e ha invaso il lago creando l’onda. 

Ed è un’onda di emozioni sempre venire qui a ripercorrere questa storia e a guardare queste bellissime montagne che non hanno alcuna colpa di ciò che è successo. E dopo la visita alla cappella e alla parte alta della diga che da qui si ricomincia a salire verso Casso. Alcune curve più in alto c’è un altro punto panoramico che regala una vista ancora più ampia della parte interna della diga e della grandezza di ciò che era il lago che la precedeva.

In pochi minuti  un po’ di curve si arriva a Casso, un paesino che sembra una cartolina e che è rimasto fermo nel tempo. Merita una camminata fino alla chiesa di Casso e in giro per il vecchio paese che riporta al passato e al profumo di legna bruciata. E attirati per l’appunto dal profumo della legna nel cuore del paese abbiamo trovato una piccola bottega, Il Mercatino, ricavata da quella che un tempo era una stalla e che oggi oltre a vendere prodotti tipici propone taglieri e panini esclusivamente con prodotti del territorio.

Un viaggio nel viaggio, una lunga sosta qui, ricaricando di tanto in tanto la stufa a legna che riscalda il piccolo ambiente, assaggiando la pancetta contadina e il salame locale, tra formaggi e sott’olio accompagnati da pane fatto in casa e vino rosso. Chiacchierando con le persone del posto che vengono a mangiare e a ripararsi dall’aria fredda e talvolta a 1.000 metri con la prima neve. E alle tre, scendendo insieme al sole che comincia  a sparire nascosto dalle alte montagne che la circondano, diventa ancora più una cartolina Casso vista da sotto scolpita nella montagna.

Video presentazione

Foto gallery

Vajont

Mauro Lattuada

Amo viaggiare in luoghi dove non vanno in troppi, amo la montagna ed il mare, nuoto e volo volentieri e tiro con l'arco olimpico. Sono operatore DAE Laico e operatore di primo livello di Protezione civile

Lascia un commento