Presentazione
La foresta Mercadante (attualmente 1.300 ettari, nel comune di Cassano Murge) è un polmone verde “nato dall’uomo”, ovverosia con un patrimonio vegetale piantato per difendere la zona di Bari dai ricorrenti disastri alluvionali. Settant’anni fa gli impianti furono completati creando così un’area verde che oggi è meta per famiglie e amanti della natura.
Personalmente ho ricordi d’infanzia, molto belli, della foresta: filari di alberi su cui scoprii con meraviglia funghi spontanei di tante forme che crescevano in simbiosi con i tronchi e le radici, cinguettii di uccelli vari, e stradine che si perdevano nel fitto degli altissimi alberi.
Sebbene creata ad hoc, la foresta è sentita da tutti i pugliesi come territorio sempre esistito, ricordo di lontani secoli in cui anche la Puglia aveva dei boschi. Le varietà delle piante vanno dai pini alpensis, pinea marittimi, ai cipressi comuni, piramidalis ed horizontalis; dalla roverella al quercis ilex (leccio), al pseudosuber (fragno) e alla spinosa (quercia); dal cedrus atlanticus, a quelle impiegate di recente: olmi, robinia, frassino, ormello, bagalaro, eucalipti, ecc. Le più vecchie hanno da 40 a 60 anni, dato che le prime piantate andarono distrutte numerosi incendi,
La foresta Mercadante si estende su 1300 ha (dagli iniziali 1041ha), e si trova per gran parte nel territorio di Cassano delle Murge (872 ha) e per la parte restante nel territorio di Altamura. La foresta fa parte integrale del Parco dell’Alta Murgia.
Questa foresta ha la particolarità di essere artificiale: in seguito alla ripresa demografica e alla deforestazione dell’Ottocento, infatti, i danni ambientali nell’entroterra barese incominciarono a farsi sentire direttamente sulla città di Bari, che in più occasioni venne allagata. Si ricordano in particolare tre alluvioni 1905 (18 morti), 1915, 6 novembre 1926 (19 morti e 50 feriti). L’ultima, in particolare, spazzò via tutti i muri di contenimento allestiti in precedenza, rendendo necessario un intervento più consistente per contenere l’avanzare dell’acqua in caso di forti piogge. A causa dell’erosione il suolo era spoglio e povero, e quindi non offriva resistenza all’acqua, che fluiva senza ostacoli fino al fondovalle; sul suolo furono quindi messi a dimora numerosi alberi, per la maggior parte conifere (in particolar modo pino d’Aleppo) in quanto piante a rapido accrescimento e idonee a predisporre il suolo per le specie autoctone quali roverelle e lecci (latifoglie – specie quercine).
Le piante
Le varietà delle piante messe a dimora, vanno dai pini alpensis, pinea marittimi, ai cipressi comuni, piramidalis ed horizontalis; dalla roverella al quercis ilex (leccio), al pseudosuber (fragno) e alla spinosa (quercia); dal cedrus atlanticus, a quelle impiegate di recente: olmi, robinia, frassino, ormello, bagalaro, eucalipti, ecc. Le più vecchie ne hanno da 40 a 60 anni, dato che le prime piantate andarono distrutte dai, purtroppo, numerosi incendi, eufemisticamente classificati “spontanei” o “accidentali”.