Presentazione
Se vi è capitato di passare su questa strada l’avrete notato: mi sono sempre chiesto cosa fosse, finalmente l’ho scoperto ed è stata una bellissima sorpresa del tutto inaspettata.
E’ una centrale di produzione idroelettrica ma produce ben altro, produce arte e cultura, molto più di 4 turbine.
Un tempo questa struttura era un esempio di quel tipo di imprenditoria che tanto amo, spesso racconto e che pian piano è sparita dal mercato: i visionari, quelli veri.
ui a fianco dell’enorme finto castello trovavano spazio le case per i dipendenti, a meno di 200 metri dal posto di lavoro, con grandi giardini per i figli, la scuola, la chiesa e il grandissimo parco con fontana di pietra.
Immaginarla in funzione porta a viaggiare nel passato, e si stenta a credere che in questa struttura riescano a trovare spazio questi macchinari enormi e pesanti. 3 tubi di precipitazione concentrano la potenza dell’acqua in 4 turbine (ad oggi solo una è ancora in funzione) che producevano energia elettrica per la zona.
Non è un castello
Non è un castello, lo si nota (entro e scritta a parte) venendo sotto le mura e osservando l’architettura della costruzione.
Nessuna finestrella stretta, nessun punto di sparo, nessun ponte levatoio o fossato. E’ ben imitato esteticamente, ma non è un castello, è un luogo che è stato riportato in vita grazie alla passione per l’arte e per la cultura ed è tornato a nuova vita.
Arte & Artisti
Qui trovano spazio dal 2014 varie attività, dalla segreteria organizzativa dell’evento che lo ha reso famoso,al coworking, ma soprattutto trovano spazio giovani artisti e creativi che necessitano di spazi e strutture per sviluppare il proprio progetto. Assistiti realmente da uno staff di professionisti i giovani artisti vengono selezionati con altissimi standard qualitativi: questo consente la presenza per due o tre settimane di 3 o 4 artisti al massimo garantendo qualità e serietà nel risultato.
Loro vivranno qui, per tutto il tempo, “rinchiusi nel castello” per massimizzare le loro energie, la loro concentrazione e il loro bisogno di relax. Grandissimi stanzoni sono stati completamente svuotati e trasformati in palcoscenici infiniti, attrezzature professionali, luci, computer, macchine da presa e operatori sono a disposizione dell’artista per supportare ed aiutarlo in tutto il processo creativo. L’hub si chiama Fies Core e la sua mission di sostenere, guidare, accompagnare, lanciare imprese culturali innovative supportandole con attività orientate allo sviluppo e al potenziamento di nuove skill. Fies Core è un luogo dove diverse esperienze e umanità convergono per creare i contenuti culturali più eterogenei: da nuove idee di turismo, al district branding passando per free school filosofiche sulla performance. Inoltre Fies Core crea progetti transettoriali che mette a disposizione di giovani imprese che vogliano sperimentare e iniziare a muoversi nel campo del cultural design e dell’impresa culturale. A chi invece ha già le idee chiare propone un team modulare di art director, graphic designer, image maker, più un universo parallelo di artisti, web master, fashion designer, illustratori e creativi.
La visita
La visita, che chiunque può fare semplicemente presentandosi presso la struttura o avvisando prima chiedendo appuntamento via mail, lascia a bocca aperta: piste di legno per performance artistiche, vecchi capanni riportati in vita come studi di prova in pietra grezza, tutti stimoli che solo un luogo come questo può fornire. A me portava alla mente il film saranno famosi e la strutture in cui studiavano i loro colleghi americani. In questa centrale di produzione di tante cose il vero motore è la cultura: un esempio su tutti è la storia della susina di Dro: si stava perdendo la sua produzione, motivi economici e di presenza di altri prodotti che hanno abbassato prezzo e clienti la hanno pian piano fatta sparire dal territorio, territorio che era caratteristico proprio per la fioritura di questi frutti tanto amati dagli austriaci. Ed è così che da qui è partito lo stimolo per riportare tutti al tavolo, fare rete con i produttori locali e con il mercato globale, e si sono individuati altri spazi di mercato che hanno permesso di ripiantarla, tenerli in vita de ricominciare a diffondere la presenza. Tra qualche anno probabilmente sarà possibile rivedere quel panorama quasi cinese che ha reso famoso questo territorio. La susina di Dro è particolare perché è molto più piccola e saporita delle susine normali, la sua bellzza (oltre che nella fioritura) sta in un frutto che ha scelto di assorbire meno producendo di più e meglio, è un frutto estremamente saporito che rischiava di sparire dalla tradizione locale. Il progetto si chiama UltraViolet ed è stato avviato nel 2015 su richiesta del Comune di Dro per salvaguardare la Susina di Dro, cultivar locale di notevole valore sia culturale che alimentare, a rischio di estinzione.
Storia della Susina
La Susina di Dro ha caratterizzato per secoli il paesaggio dell’Alto Garda, le attività agricole e, nel corso del 900, la vita produttiva e sociale della comunità in larga parte scandita e organizzata attorno alla raccolta e lavorazione del frutto. La coltivazione della Susina di Dro ha subito un considerevole declino negli ultimi 30 anni per motivazioni legate soprattutto alle trasformazioni del mercato europeo e alla virosi Sharka. Ma il valore culturale della Susina di Dro è ancora largamente riconosciuto dalla comunità: ad essa sono legate memorie, rituali sociali e familiari importanti. Inoltre il frutto, che necessita di pochissimi trattamenti, rappresenta una potenziale virtuosa rottura con il sistema della monocoltura (soprattutto di viti e mele) che ha stravolto il paesaggio locale – una volta caratterizzato dalle distese di fioriture bianche che gli conferivano un aspetto unico e sorprendente per il visitatore – e rischia di alterarne in maniera significativa l’equilibrio ecologico.
UltraViolet
Mappature, screening, aperture di tavoli per il dialogo, interviste, ma anche sogni, opportunità, sfide e nuove idee per una comunità che ha perduto nel tempo la sua identità legata alla terra.
Fies Core ha compiuto azioni differenti e tese in varie direzioni: dall’auditing degli agricoltori al coordinamento dei maggiori soggetti territoriali coinvolti nella produzione e lavorazione della Susina (giungendo alla sottoscrizione di un Protocollo d’Intesa volto a unire le forze per salvaguardare il frutto), dal coinvolgimento di food blogger a momenti di workshop con gli operatori turistici locali. Individuato l’immaginario come detonatore per il risveglio dell’interesse, del fascino e delle potenzialità di questo prodotto agricolo in via di estinzione, è stato inoltre lanciato il contest Ultra fake Violet attraverso il quale Fies Core ha chiesto di immaginare prodotti fantastici e inesistenti (a base di Susina di Dro) e di raccontarli attraverso i rispettivi packaging, campagne pubblicitarie, immagini, video atti a creare e diffondere un immaginario utopico, spettacolare e fantastico attorno a un frutto. Nutrendo il repertorio collettivo di immagini attraverso la creatività, provando a inventare storie e prodotti dagli esiti fantastici, nasce una riflessione su come sia necessario difendere le biodiversità e le caratteristiche uniche e speciali che fanno parte di un territorio
La Susina di Dro è anche De.Co.
Un nuovo prodotto si aggiunge al paniere di quelli certificati De.Co.: la susina di Dro. La Denominazione comunale (De.Co.) è stata adottata per tutelare e valorizzare in primis la produzione tipica del mondo agricolo, ma anche i piatti della tradizione e alcuni prodotti artigianali di eccellenza.
Nel caso della Susina il prodotto si contraddistingue per le ottime caratteristiche organolettiche e la necessità di dover essere sottoposto a pochi trattamenti (risultano quindi appropriato per la preservazione dell’ecosistema), oltre ad un forte legame con il territorio dovuto non solo alle particolari condizioni climatiche, ma anche a motivi storico – culturali.
E se vi piace la susina di Dro, non dimenticatevi dei menu tematici di Vacanze con Gusto, dedicato alle meraviglie di fine estate, tra cui questo frutto.
La storia della centrale
Edificata sulla riva del fiume Sarca, la centrale di Fies iniziò la produzione nel 1909 al fine di coprire il fabbisogno energetico del Comune di Trento, delle utenze industriali della città e delle nascenti tranvie elettriche che erano state progettate per unire il capoluogo alle valli del Noce e dell’Avisio. L’impianto venne realizzato tra il 1906 e il 1909, sotto la direzione lavori dell’ingegnere municipale Domenico Fogaroli, mentre l’eclettica veste architettonica si deve all’architetto Marco Martinuzzi.
Le caratteristiche, relativamente alla parte idraulica, prevedevano: la derivazione del fiume Sarca a Pietramurata con un canale di alimentazione che conduceva al lago di Cavedine (serbatoio), un’opera di presa nella parte meridionale del lago che serviva il bacino di carico e quindi sette condotte forzate che alimentavano le turbine (Francis) della centrale. Quest’ultima, destinata ad ospitare 2 gruppi a corrente continua da 160 kW e 6 gruppi da 2.000 kVA, nei primi anni di esercizio aveva una disponibilità pari a 3.000 kW. La linea ad alta tensione, in alcuni tratti realizzata con cavo interrato, serviva la stazione di trasformazione principale di Trento, ora demolita. Già con l’entrata in funzione dell’impianto tuttavia il Municipio di Trento aveva esaurito la quasi totalità dell’energia disponibile per servire l’illuminazione pubblica della città e delle borgate vicine, l’utenza industriale e la tranvia Trento-Malé (inaugurata nell’autunno di quell’anno) per cui si rese ben presto necessaria una maggiore dotazione della centrale che nel 1913 fu portata ad una potenza installata di oltre 6.000 kW.
Nel primo dopoguerra l’impianto di Fies venne ulteriormente potenziato e integrato con la nuova centrale realizzata poco più a valle, nei pressi di Dro, dedicata al Principe Umberto di Savoia. Con la creazione delle imponenti strutture del Secondo Dopoguerra gli impianti del Sarca della città di Trento persero tuttavia la loro importanza relativa: in particolare con la costruzione della centrale di Nago-Torbole, negli anni ’60, l’attività della centrale di Fies venne notevolmente ridimensionata. Passato prima in proprietà all’ENEL e ora di proprietà di Hydro Dolomiti Energia, da alcuni anni l’edificio della centrale ospita incontri culturali ed è sede per spettacoli e performance artistiche.