Le coincidenze dalla vita ti portano in molti posti, questa volta siamo finiti nostro malgrado in Bosnia. Ma non a Sarajevo come spesso ci sentivamo chiedere, ma a Bihac

Le coincidenze dalla vita ti portano in molti posti, questa volta siamo finiti nostro malgrado in Bosnia. Ma non a Sarajevo come spesso ci sentivamo chiedere, ma a BihacBosnia 168
Attratti dalle sognanti descrizioni del fiume Una ci siamo fatti catturare da Paola Lucchesi, abbiamo caricato la Geek Mobile, percorso quasi 1000 kilometri e siamo arrivati a Bihac. Lo scopo era quella di provare a fare i turisti in Bosnia, territorio per lo più ignorato dalle guide turistiche, e difficile da scoprire se non la si conosce. Tristemente è una meta nota per una fascia abbiente, di patiti della caccia che in questi territori trovano facili soddisfazioni potendo cacciare senza i controlli a cui sono abituati in patria.
Noi turisti sostenibili siamo partiti attrezzati, scarponi, coltello e pietra focaia, per scoprire qualche lato inesplorato della zona. Dalla frontiera, dove il doganiere ci ha tenuto a salutarmi chiamandomi per nome, al distributore di benzina, dove la benzina costa solo un euro, ai vari ristoranti e rifugi abbiamo trovato un’accoglienza, un’ apertura e una gentilezza disarmanti e che denotano lo spirito di questo popolo.

Induriti da millenni di guerre, poco abituati agli stranieri, ci hanno accolti come a casa nostra, qualsiasi porta apriate sarà lo stesso. In pochi giorni, a cavallo del capodanno, abbiamo seguito il fiume e gli aironi, alla ricerca di qualcosa che solo in Bosnia è possibile trovare. Cascate a centinaia, come quelli della più nota croata Krka, caratterizzano la parte alta della Una. Arrampicati tra le scoscese rapide e disseminati lungo le isolette agglomerati urbani, dove al tempo sopravvivono  vecchi abitanti  che ancora popolano la zona. Il cacciatore che rientra con la sua doppietta e una quantità di carne minima, sufficiente per l’approvvigionamento, ci accolgono mentre varchiamo la porta della lavanderia. Siamo a Martin Brod, qui un ingegnere 90enne, cresciuto in questa dura terra che non offre molto se non se stessa, ha imparato ad utilizzare la potenza del fiume sia per tritare il grano, con un classico mulino a pietra mobile, sia per lavare senza detersivo. Grazie ad un semplice complesso di vasi a diametri minori crea un vortice artificiale in una vasca a volume ridotto, entro la quale è possibile buttare indumenti sporchi e ritirare capi perfettamente puliti grazie alla potenza della natura. Piccoli miracoli inesplorati, a due passi da un oasi naturale che vede crescere stormi di aironi bianchi e neri, che sorvolano ed animano il cielo li attorno. Una terra che sta cambiando, le generazioni crescono e non si rinnovano, e questi arditi partigiani della loro terra pian piano stanno cedendo.
Dopo Martin Brod siamo andati a mangiare a Kulen Vakuf. Abbiamo mangiato la pita e il pesce in un posto locale, cucinato solo per noi al momento. Siamo scesi lungo il fiume, passando dallo sterrato alla statale, e passando dal territorio incontaminato all’urbanizzazione che man mano prende piede. I mulini spariscono, lasciando spazio a muretti finti e deviazione innaturale dei flussi, dalla purezza del paesaggio selvaggio all’imbastardimento della ricchezza che avanza. 
Siamo scesi, perdendoci in chiacchere e non accorgendoci nemmeno del rapido passare delle ore, mangiando lungo il fiume e sorseggiando il nettare locale, ospiti di osterie e locali dove l’attenzione all’ospite e l’abbondanza dei piatti sono la regola fissa. Uniti all’esiguità dei conti che l’accompagnano, spesso talmente bassi da risultare difficilmente credibili.
Abbiamo visto il paesaggio dall’alto, sommerso dalle nuvole, mangiando minestra calda con salsiccia e fagioli in un rifugio nella valle, a Plješevica, dove il tempo sembra essersi fermato e le abitudini ricordano quelle del nostro passato prossimo, lontani e nascosti ricordi d’infanzia.

Slivovitza ed altre decine di indecifrabili grappe, abbandonandoci al Dio bacco in una piazza piena di neve. Abbiamo giocato con i cani selvatici che popolano le strade, come il nostro sud di un tempo, con la differenza che questi sono educati al “tentativo clandestino di adozione”: appena capiscono di aver davanti un animale loro affine cercano di catturarlo in tutti modi, cercando perfino di salirti in macchina mentre te ne vai. E’ veramente difficile tornare in patria senza aver avuto la tentazione di portarsene via uno. Siamo scesi fino al centro, nel mercato di Natale, tra profumi ed aromi che ricordano l’Egitto ed il Nilo per la loro varietà.  E poi siamo piombati nella “modernità”, catapultati dalla poesia del fiume che scorre lungo il nulla ad un locale del centro per festeggiare il capodanno, l’arrivo del 2012, quest’anno difficile.

E di  nuovo ci ritroviamo in un sogno del passato, mi è venuta in mente la Spagna degli anni 90, dove il moroso della tarantola ha colpito tutti i presenti, camerieri compresi. Dopo qualche titubanza iniziale, e qualche bottiglia di vino, ci si trova abbracciati ai vicini di tavolo a ballare (correttamente, quasi, ed ancora non mi spiego il perchè) il Sirtaki che non hai mai ballato in vita tua. Gente che socializza come si faceva un tempo, senza schemi sociali e senza nessun secondo scopo se non quello di vivere, ballare, saltare, sognare, e divertirsi, con musiche che ti entrano subito nel sangue anche se non le conosci e con persone che ti fanno sempre sentire come se fossi a casa tua, anche se non capisci quello che dicono e se sei a più di 1000 kilometri da li.
Quella notte rimarrà indimenticabile, per il ritmo e la passione che vibravano in quel locale, così come in centinaia di posti analoghi lungo il centro di questo borgo sperduto nel tempo. E’ bastata una settimana perchè la Bosnia ci entrasse nelle vene, e rimanesse li, in attesa della prossima volta che ci torneremo. La definizione che meglio descrive i Bosniaci, secondo noi, è che è ancora un popolo che balla. Voi vi ricordate l’ultima volte che lo avete fatto, senza motivo, e solo perchè accesi dal fuoco della tarantola? Noi si, era il 31.12.2011.Tutto questo rischia di finire, di morire, di diventare un ricordo che forse racconteremo ai nostri amici ma che nessuno potrà mai vedere.

Il rovescio della medaglia della Bosnia sta nella difficile gestione dell’amministrazione e della cosa pubblica, che è in mano a mafie e organizzazioni che da secoli garantiscono questo non stato di evoluzione, quando non cascano nell’involuzione. La Una potrebbe essere distrutta, le sue cascate che potrebbero ispirare moderni poeti, rischia di diventare una centrale idro elettrica, uccidendo la flora, la fauna, ed il territorio stesso.
Noi non amiamo piangerci addosso, ed è il motivo per cui vi raccontiamo questa storia. Per quanto piccola, e probabilmente simile a molte altre, racconta di emozioni e usi che non sappiamo quanto a lungo potremo vedere. Cosa fare? Scegliere, ad esempio, di risparmiare molti soldi e trascorrere le proprie vacanze in Bosnia quest’anno, facendosi accompagnare alla scoperta di qualcosa che fa parte del passato. Questo aiuterà i locali ad occupare le proprie case, capendo quale economia può dare il turismo sostenibile, soprattutto se permette una conservazione del territorio.

Entrare in Bosnia ed entrare nelle case, oltre che nei locali, provando un lato nascosto e visibile a pochi che noi abbiamo scoperto. Se volete farlo vi basta scriverci, vi metteremo in contatto con Paola, che potrà organizzare tutto ciò che vi serve per provare questa emozione.!
Le stesse case descritte sono case aperte, che possono ospitarvi per pochi euro a notte, e sono i luoghi dove la farina appena tritata dalle vostre mani può essere acquistata e preparata. Nei sottoscala troverete pancetta grassa e sugosa, ed i vari tipi di grappe che vengono prodotte e commercializzate. Alcuni prodotti possono essere portati fuori frontiera, altri sono regolati da norme igieniche, vi consigliamo come sempre di dotarvi della relativa Routard attraverso la quale essere dettagliatamente informati di tutte le norme e le leggi.
Noi nel frattempo stiamo capendo come riadattare i vecchi mulini per trasformarli, all’interno delle cascine stesse e senza impattare sul territorio, in generatori elettrici, permettendo alle famiglie arrampicate sulla Una di prodursi elettricità in casa e, magari in futuro, di venderne l’eccedenza alla carissima e monopolista compagnia locale. Salvaguardare il territorio, portare economia, obbligare il sistema ad organizzarsi diversamente puntando sul turismo e non sulla cementificazione sono le speranze di questa storia. Se vi è piaciuta, andate a trovare Paola, viverla di persona è ancora meglio.

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Mauro Lattuada

Amo viaggiare in luoghi dove non vanno in troppi, amo la montagna ed il mare, nuoto e volo volentieri e tiro con l'arco olimpico. Sono operatore DAE Laico e operatore di primo livello di Protezione civile

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