Nella bellissima zona di Scifo, è da consigliare la visita subacquea guidata al relitto. E’ possibile vedere oltre le bellezze archeologiche anche specie marine nell’area protetta, e le piante tipiche della macchia mediterranea.
TORRE DI SCIFO
La Torre di Scifo rientrava in un disegno di difesa costiera di cui facevano parte anche la Torre di Capo Nao (la prima costruita) e la Torre Mariedda.Carlo V iniziò, infatti, una vasta ed imponente opera di fortificazione dei litorali calabresi nel XVI secolo, per potenziare le strutture difensive del Regno di Napoli. Il progetto fu iniziato dal viceré Don Pedro di Toledo. La torre verrà costruita sul capo Pelegrino o Pellegrino dal mastro Gio. Bernardino de Sena di Catanzaro nei primi anni del ‘600 e prenderà dapprima il nome di Torre di Capo Pellegrino e poi di torre di Scifo. Essa era situata dentro la gabella detta di Scifo Vecchio.Di questa torre a pianta quadrata ci da notizia G.B. Nola Molise nel 1649, affermando che assieme a quella del Lo Marello, era stata costruita da poco a spese della Regia Corte.Dopo l’Unità d’Italia la torre di Scifo fu ceduta dal Demanio dello Stato al marchese Antonio Lucifero, che la trasformò in dimora estiva di soggiorno e molti terreni di proprietà ecclesiastica della località, incamerati dall’Asse Ecclesiastico, passarono in proprietà del barone Luigi Berlingieri che li acquistò dal Demanio. Nel 1938 fu costruita la adiacente abitazione del custode.Oggi il fortilizio appare ben conservato e presenta una pianta di forma quadrata ed è munita di robusti contrafforti e cordonatura in pietra, è dotato di una scala esterna e di un piccolo ponte d’accesso.
IL TERMINE “SCIFO”
Lo skyphos (in greco: σκ?φος,skyphos, plurale skyphoi) è un tipo di vaso greco, una profonda coppa per bere con due piccole anse, solitamente orizzontali, impostate appena sotto l’orlo; il piede è basso o del tutto assente. In base alla fonti letterarie sembra sia possibile che in antichità il termine venisse utilizzato in modo simile alla nomenclatura moderna. Frequentemente viene utilizzato anche il termine kotyle (plurale kotylai – dal greco κοτ?λη), che designava in antichità una coppa in senso e di forma generica. Il kotyle era anche una antica unità di volume. La forma dello skyphos varia nel tempo, a partire dal protogeometrico, e secondo gli ambiti di produzione. La forma base si stabilizza con lo skyphos corinzio del VII secolo a.C., caratterizzato da pareti sottili, orlo curvato verso l’interno, anse piccole e piede ad anello. Da alcuni esemplari tardo geometrici dotati di invaso più ampio si sviluppa la tipologia greco-orientale della coppa a uccelli. In ambito atticolo skyphos assume pareti leggermente più spesse, con anse robuste e piede a toro. Una seconda tipologia frequente nelle figure rosseattiche, e spesso decorata con una civetta, è quella recante anse di forma diversa, una verticale e una orizzontale, con invaso più affusolato nella parte inferiore e con piede più piccolo. La forma chiamata cup-skyphos è dotata delle caratteristiche principali dello skyphos, ma con anse che piegano verso l’alto e orlo leggermente convesso come nelle kylikes. Celebre forma vascolare della letteratura greca, è infatti il vaso da cui Polifemo beve il latte nel libro IX dell’Odissea.
I REPERTI DI PUNTA SCIFO
Nella Baia di Scifo è stato ritrovato un relitto di epoca romana che trasportava delle lastre di marmo provenienti dall’Asia Minore e vasellame di diversa fattura (orli, anse e puntali di anfore). Il carico si presenta sparso sul fondale, a circa 7/8 metri di profondità, concentrato in due zone contigue, come se al momento del naufragio lo scafo si fosse spezzato in due tronconi.Su alcuni blocchi di marmo sono state identificate alcune iscrizioni di cava riportanti la data del 197 d.C. e da questo si è ipotizzato un probabile inabissamento della nave attorno ai primi anni del III secolo.
La città di Crotone e nello specifico,il promontorio di Capo Colonna (promontorio Lacinio) , costituivano in età antica un importante punto di riferimento per le numerose navi in transito sulla rotta commerciale , che collegava la Grecia e l’Asia Minore con l’Italia attraverso il Mar Ionio.
Attualmente è possibile visionare parte del materiale recuperato presso il locale museo archeologico di Capocolonna
Nella bellissima zona di Scifo, è da consigliare la visita subacquea guidata al relitto. E’ possibile vedere oltre le bellezze archeologiche anche specie marine nell’area protetta, e le piante tipiche della macchia mediterranea.
Lungo la spiaggia è visibile a pochi metri la Torre di Scifo.
Inoltre a meno di 1 km, si può facilmente raggiungere (anche a piedi o con autobus) il sito archeologico di Capocolonna, dove si trova l’unica colonna rimasta del tempio di Hera Lacinia.
AREA ARCHEOLOGICA DI CAPO COLONNA
Capocolonna è il promontorio che delimita il limite occidentale del Golfo di Taranto, dove sorgeva il tempio dedicato ad Hera Lacinia. Fino al XVI secolo era chiamato Capo delle Colonne perchè erano ancora presenti molte delle colonne dell’antico tempio. Anticamente il suo nome era ” Lacinion “(Λακ?νιον in greco). La sua importanza risiede nella quantità di elementi storici che sono legati a questa punta di terra protesa sullo Ionio. Sfortunatamente venne utilizzato come cava di pietre lavorate per il castello, il porto e i palazzi nobiliari locali fino a che solo una solitaria colonna rimase in vista dei naviganti, eretta fra i ruderi.
Proprio la caratteristica di limite facilmente identificabile rese il Capo Lacinio punto di riferimento per la navigazione e per la definizione di confini. Questo metodo di indicare i limiti della navigazione e le aree di influenza era generalizzato e derivava dal tipo di navigazione “sottocosta” dell’epoca.
Con la fondazione di Crotone da parte di coloni greci nel VIII secolo a.C. l’area dell’antico Capo Lacinio, già considerata sacra dalle popolazioni autoctone, viene ulteriormente nobilitata dalla costruzione del famoso tempio dedicato a Hera Lacinia, divinità greca, protettrice delle donne e della fertilità e che viene nella mitologia classica abbinata alla romana Giunone. Queste due principali qualità: la facile riconoscibilità dal mare e la presenza del tempio fecero convergere sul Capo Lacinio le pagine della storia.
TEMPIO DI HERA LACINIA
Il tempio vero e proprio aveva la classica forma dei templi greci: un imponente complesso di 48 colonne in stile dorico alte oltre 8 metri e costituite da 8 rocchi scanalati. Il tetto era di lastre di marmo e tegole in marmo pario. Nulla si sa delle decorazioni che però erano certo presenti come si può dedurre dal ritrovamento di una testa femminile in marmo della Grecia e pochi altri frammenti. La colonna, in stile dorico, fino al 1638 era affiancata da un’altra caduta per un terremoto e poggia sui pochi resti del possente stilobate. Nelle adiacenze è tracciata una “Via Sacra” di una sessantina di metri e larga oltre 8 metri. Al complesso del tempio appartengono anche almeno tre altri edifici chiamati “Edificio B”, “Edificio H”, “Edificio K”.
Nel libro XXIV, III di Ab Urbe condita libri leggiamo la pastorale descrizione che Tito Livio fornisce del tempio di Capo Lacinio.
” Un bosco sacro, isolato da una folta foresta e da alti abeti, chiudeva nel mezzo pingui pascoli, ove pasceva senza pastori ogni specie di animali consacrati alla dea, e gli armenti delle rispettive specie la notte rientravano in gruppi separati alle stalle, non mai insidiati né dalle fiere né dagli uomini. Grande era perciò il reddito che si traeva da quel bestiame, e con quello fu eretta e consacrata una colonna di oro massiccio, sì che il tempio era illustre non solo per la santità ma anche per le ricchezze“.
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXXIV, 3, Mondadori, Milano, trad.: C. Vitali)
Oltre le funzioni religiose al tempio erano affidate, per tradizione anche quelle di punto di ristoro per i naviganti e i mercanti. Ed era certo questa funzione che muoveva la generosità di chi la utilizzava; il tempio divenne rapidamente famoso e ricco. Inoltre l’egida di sacralità scoraggiava i ladri per cui i viaggiatori e anche le popolazioni locali trovarono utile depositare le loro ricchezze nel tesoro del tempio. La prassi di utilizzare i templi come banche era, d’altra parte, del tutto normale. Ricordiamo come a Roma le Vestali fossero depositarie dei testamenti e il tempio di Saturno Erario fosse il deposito del tesoro della città.